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podcast

Le Figlie della Repubblica - Stagione 3

#Episodio 1

Emanuela Guizzon racconta la zia Tina Anselmi

SINOSSI

Il Veneto bianco, ispirato dalla solidarietà e dalla religiosità cattolica, l’impegno nei palazzi romani per l’emancipazione sociale e politica dei lavoratori e delle donne e il servizio per la difesa della tenuta democratica delle istituzioni fanno da sfondo alla storia di Tina Anselmi, prima donna a ricoprire un incarico ministeriale nella storia dell’Italia unita.

Questo podcast ci racconta, attraverso l’accorato ricordo della nipote Emanuela Guizzon, il percorso politico della zia, le cui stelle polari sono il ruolo guida del partito e il magistero della Chiesa.

Si ringraziano la Rai Direzione Teche e Radio Radicale per aver gentilmente autorizzato il materiale audio storico inserito nell’episodio.


BIOGRAFIA

Tina Anselmi (Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927 – 1º novembre 2016) è stata una politica e partigiana italiana, prima donna a ricoprire la carica di ministro della Repubblica.

Primogenita di quattro figli, poté seguire un percorso di studi piuttosto regolare, avvicinandosi alla Gioventù femminile di Azione cattolica. Centrali nella sua formazione furono l’esperienza della guerra e il contatto con la miseria, la violenza e la morte. Il cattolicesimo popolare e il solidarismo che la ispiravano si convertirono così in una vera e propria opposizione all’occupazione nazifascista. Aderì alla Resistenza con il nome di battaglia di Gabriella, in onore dell’arcangelo Gabriele, e nel 1944 si iscrisse alla Democrazia cristiana. 

Negli anni tra la Liberazione e il secondo dopoguerra, l’attività politica della Anselmi si svolse sul triplice fronte della Gioventù femminile, della Dc e del sindacalismo cristiano. Iscrittasi alla Facoltà di Lettere dell’Università cattolica del Sacro Cuore a Milano, si laureò e divenne insegnante. Contestualmente, esercitò l’attività sindacale all’interno della Cgil unitaria, basata cioè sulla collaborazione tra le correnti socialcomuniste e quelle cattoliche, nella Federazione dei tessili. Nel 1946-47 prese parte ai primi congressi nazionali della Dc, a Roma e a Napoli, da posizioni favorevoli alla Repubblica e vicine alla sinistra interna di Dossetti. Conobbe Franca Falcucci, con la quale strinse un forte rapporto di amicizia e collaborazione coronato dalla nomina di entrambe ai vertici del Movimento femminile (Mf) della Dc. Alla fine degli anni Cinquanta, assecondò il giudizio negativo del MF sulla segreteria politica di Amintore Fanfani e favorì l’elezione di Aldo Moro come nuovo segretario nazionale. 

L’impegno femminista della Anselmi era legato al ruolo emancipatorio del partito e al magistero di Pio XII, che nel 1945-47 aveva promosso la partecipazione politica delle donne come maternità allargata alla società, auspicando che essa fosse destinata principalmente alle donne nubili. Non a caso molte delle democristiane ai vertici del Mf erano nubili, a cominciare dalla stessa Anselmi.

Gli anni Sessanta furono cruciali per la maturazione politica della Anselmi. Nel 1968 fu eletta alla Camera, dove fu confermata fino al 1987. Fin dai primi anni del mandato parlamentare, ebbe modo di intervenire con numerosi progetti di legge per ampliare i diritti delle donne, la tutela delle madri lavoratrici e del lavoro femminile a domicilio, sancire l’illegittimità della discriminazione delle donne sul lavoro. Questo intenso impegno parlamentare le aprirono le porte di un gran numero di incarichi parlamentari e governativi.

L’adesione alla linea di Moro e alla formula morotea dei governi di “solidarietà nazionale” le consentirono la nomina a ministra del Lavoro, prima donna a ricoprire un incarico ministeriale nella storia d’Italia, e poi di ministra della Sanità. Quando, ai primi anni Ottanta, scoppiò lo scandalo della loggia massonica P2 di Licio Gelli, una potente forza occulta in grado di condizionare il sistema economico e politico italiano in senso reazionario e anticostituzionale, nell’ottobre 1981 la Anselmi fu chiamata a presiedere la commissione d’inchiesta. Questo incarico avrebbe segnato profondamente la sua esperienza politica.

Nel 1989 svolse il suo ultimo incarico come presidente della Commissione nazionale per la parità tra uomo e donna della Presidenza del consiglio; tuttavia, il suo impegno nella sfera pubblica non si esaurì fino all’ultimo, si impegnò molto a partire dalle accuse di violenza da parte di soldati italiani in Somalia alle conseguenze delle leggi razziali per la comunità ebraica italiana alla memoria della Resistenza.

Morì a Castelfranco Veneto il 1° novembre 2016.


TRASCRIZIONE PODCAST

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… e essere costretti a 16 anni ad andare a vedere 31 ragazzi impiccati perché erano stati rastrellati per la rappresaglia, con la compagna di banco che vede gli amici del fratello e il fratello e ha un mancamento lì, rischia di essere fucilata e lì Zia dice “non puoi non schierarti perché c’è una lacerazione interna, è troppo forte l’impatto di questa scena” e la costrizione, la violenza che ti stanno facendo, per non decidere da che parte stare, perché era vitale, non lo puoi subire e basta. Infatti poi si presero a botte tra di loro, in classe, una volta rientrate. Perché anche in classe c’è chi aveva famiglie che portavano avanti un pensiero di libertà e che quindi spiegavano perché era sbagliato quello che veniva imposto, però c’erano anche ragazze che venivano da famiglie chiaramente fasciste, quindi che dicevano ‘non è giusto se li hanno impiccati sono banditi, hanno fatto bene. Lì loro si sono accapigliate in classe’.

Il 26 settembre del 1944 i nazisti impiccano lungo il corso principale di Bassano 31 partigiani catturati sul monte Grappa. Quell’orrore spinge una ragazza di 17 anni ad entrare nella resistenza, dove farà la staffetta partigiana con il nome di Gabriella. Si chiama Tina Anselmi. Nasce il 25 marzo del 1927 a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, in una famiglia antifascista e socialista, primogenita di quattro figli. Durante il 1927 entra nell’Azione Cattolica che la forma ai valori politici e sociali del cattolicesimo popolare. Le figlie della Repubblica è un podcast promosso dalla fondazione Alcide de Gasperi, che racconta le grandi figure della nostra Repubblica, secondo un punto di vista più vicino, più familiare e più intimo, quello delle loro figlie. In questa puntata raccontiamo Tina Anselmi, partigiana e sindacalista cattolica parlamentare e ministra della democrazia cristiana che come noto non ha avuto figli, conservò però un forte legame con il suo territorio e con le sorelle e visse con la famiglia della sorella, Maria Teresa. Ecco perché possiamo raccontare questa straordinaria protagonista della nostra storia attraverso i ricordi di sua nipote Emanuela Guizzon, pianista e musicista che ha vissuto a lungo con lei. La resistenza nella marca trevigiana è forte anche grazie al deciso orientamento antifascista del clero, che garantisce una rete di sostegno e di collaborazione. Tina quindi vi entra a far parte, grazie a un’ amica che la arruola nella brigata Cesare Battisti.

Marcella aveva capito che Zia voleva fare qualcosa, perché Zia aveva un carattere per cui non poteva stare ferma, semplicemente a dire “sto da questa parte”. Marcella che vedeva anche a casa, erano amiche, andavano in azione cattolica insieme. Marcella in quel momento lì era già dentro alla resistenza. È una delle staffette anche lei, della Brigata Cesare Battisti, amica di Zia da sempre. Loro ascoltavano molto anche i discorsi del Papa in quel periodo, Sottolineava comunque che bisognava essere attivi per riconquistare la libertà, per cui loro si sono sentite anche spronate in qualche modo a impegnarsi in modo attivo. e tante donne hanno lavorato in modo attivo, anche quelle che non sono entrate nella resistenza armata, perché tanto supporto hanno avuto anche da parte delle donne, delle case contadine, luoghi dove ci si poteva riparare nel fienile, dove magari ti veniva lasciato una fetta di polenta, un pezzo di pane, qualcosa, dove c ‘erano magari ricambi dei copertoni. Materiali che se i tedeschi fossero passati. nel fare dei rastrellamenti o delle perquisizioni, se avessero trovato alcune cose, anche banali, quelle persone sarebbero state o fucilate o deportate, le case bruciate, quindi anche il lavoro che sembra piccolo, però solo lasciarti aperta una porta e sapere che se andavi lì non venivi denunciato, ma potevi ripararti, magari se ti eri dovuto nascondere, buttandoti dentro un fossato pieno d ‘acqua come è successo a Zia una volta, ecco magari potevi se era vicino, davano un abito qualcosa per poterti cambiare, erano aiuti molto preziosi questi. Anche nella brigata loro non si conoscevano, avevano soltanto i due-tre contatti stretti con cui collaboravano, si sapeva solo lo stretto necessario, quello che tu dovevi sapere e le due-tre persone con cui tu ti relazionavi all’interno della brigata, non conoscevi tutti i contatti. I componenti, quindi un nome che non era il tuo per protezione delle famiglie, solo i contatti strettamente necessari, solo gli ordini che ti riguardano in modo che se venivi torturato non potevi dire quello che non sapevi. Infatti, Zia aveva il cugino che viveva con lei, che era anche lui in brigata e l’hanno scoperto quattro mesi prima della fine della guerra.

Nel 1944 si iscrive alla Democrazia Cristiana e qualche anno più tardi si laurea in lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si dedica all’insegnamento e all’attività sindacale con la CGL Unitaria, dove ancora vige la collaborazione tra le correnti social comuniste e quelle cattoliche. Il conflitto con il padronato, specie nel settore tessile, è assai aspro. ed è in questo contesto che si forgia la collaborazione con Francesca Meneghin, operaia e sindacalista cristiana, con cui condividerà lotte e battaglie.

La prima cosa su cui si impegna, ma proprio due mesi dopo la fine della guerra, cioè è passato un meso e mezzo, due, era già lì a cercare di parlare con le filandine, perché a Castelfranco c’erano molte filande, come nella zona di Vittorio Veneto invece c ‘erano molti bacchifici. Infatti poi l ‘amicizia con la Meneghini nasce lì e tutte e due erano impegnate, però la Meneghini veniva dall’esperienza come lavoratrice, dentro. Tra di loro c’è sempre stato il confronto, avevano sempre dei momenti in cui loro due parlavano perché una è rimasta a contatto con il territorio in loco e fu proprio lei a convincerla invece ad accettare di andare a Roma, ad accettare di candidarsi poi, per essere eletta, perché Zia non era proprio dell’idea e lei ha detto “ma noi abbiamo bisogno di qualcuno che porti la nostra voce lì e se lo fai tu noi sappiamo che tu farai le lotte anche per noi e noi ti sosteniamo qui”, quindi sempre molto contatto con la realtà del territorio, questo l ‘ha fatto poi, l’ha convinta. Lei avrebbe voluto rimanere perché c’era tanto da fare e da costruire in loco ed era importante essere lì a battagliare perché l’altra cosa che era traumatica per Zia e che le cambiava proprio l ‘espressione era ricordarsi le mani di chi lavorava i bachi da seta, le ragazze che lavoravano nell ‘acqua bollente con le mani nell’acqua bollente per tirare fuori il filo di seta e diceva che avevano le mani lesse, andavano in carne viva, avevano queste mani perennemente in quelle condizioni, oltre al fatto di sapere che le donne venivano pagate meno, non avevano gli stessi diritti e anche la capacità di visione che il miglioramento andava insieme all ‘istruzione e infatti lei non solo andrà a battagliare per le filandine perché avessero un salario migliore e a spiegare loro che insieme si poteva avere una forza diversa che lei poteva rappresentare e loro non rischiavano niente, perché a lei non potevano fare niente.

Negli anni del secondo dopoguerra, la posizione politica di Anselmi si chiarisce avvicinandosi alla sinistra interna di Giuseppe Dossetti, mentre l’impegno sindacale si arricchisce con alcuni incarichi di rappresentanza nazionale. Negli anni della ricostruzione con la militanza nel Movimento Feminile della democrazia cristiana, il suo percorso assume una fisionomia ancora più precisa. Stringe amicizia con Franca Falcucci, con la quale studia i problemi della condizione femminile nella società italiana del tempo e tenta di promuovere forme di partecipazione più consapevole delle donne al momento del voto. A questi obiettivi Anselmi decide di dedicarsi in modo esclusivo, a metà degli anni ’50 abbandona l’attività sindacale e l’insegnamento, consacrandosi all’attività di partito. Il passaggio a Roma significa molte cose, qui ci sono le sedi decisionali del partito, che per lei rimane lo strumento principale per la realizzazione di una società cristiana. Ma a Roma c’è anche il Papa. La giovane Anselmi segue il Magistero di Pio Dodicesimo, il quale promuove l’impegno politico delle donne cattoliche, interpretandolo come una sorta di maternità allargata alla società. Non a caso il pontefice auspica che la carriera politica sia destinata principalmente alle donne nubili, affinché non si determini un conflitto con la dimensione familiare. Nubili erano gran parte delle democristiane, ai vertici del movimento femminile. Nubile è la stessa Anselmi.

Qualcuno dice “ma ha sacrificato la possibilità di una famiglia?” Cioè, non ha sacrificato nulla, ma non perché l’abbia esclusa. Ha avuto la sua grande storia d ‘amore, ma ha avuto un paio di proposte di matrimonio nel corso della sua permanenza in parlamento. Ed era molto divertita quando veniva a casa, ma vedevi che era anche lusingata, era una donna. Zia non ha rinunciato a niente, perché qualcuno diceva “ma ha rinunciato a una famiglia, si è mai pentita, le è mancata”, Zia ha sempre goduto appieno di quello che faceva, cioè faceva quello che sentiva, era sempre in coerenza. Non era solo l ‘idea, la mente, era anche proprio il suo sentire, il suo cuore e quindi aveva poi questa energia pazzesca, si svegliava sempre la mattina contenta, anche se c ‘erano i problemi, le preoccupazioni, ma lei c ‘era, era anche il suo modo di vivere la sua fede, portare quello in cui credo, i valori cristiani e poterlo mettere in quello che faccio, le battaglie che ha fatto è stato sempre essere in resistenza continuamente, aveva sempre tutto contro. Stava senza mangiare finché non aveva risolto, ti faceva stare a oltranza dentro finché in una vertenza non arrivava dove doveva arrivare, se resisteva lei poteva resistere anche gli altri, che erano tutti i maschi di solito, per cui si stava, dopo però c ‘era la compensazione. No, Zia ha amato molto Roma, stava bene. Roma, l’ha conosciuta bene, l’ha girata in lambretta con la Falcucci, quando andavano la sera per cercare di togliere le prostitute dalla strada, quando venivano chiamate anche, quando c ‘erano delle situazioni particolari. Mi risulta che venissero anche chiamate, magari c’erano delle situazioni particolari per cercare di togliere, comunque di parlare assieme alle donne, perché se tu prendi consapevolezza capisci che c’è qualcuno che ti può aiutare, che c ‘è, che non sei da solo, le cose si possono anche cambiare. Lei diceva sempre che le donne riescono sempre a essere nel nocciolo del problema e insieme ad arrivare a una soluzione utile per tutti. Lei non si sentiva meno di un uomo, aveva combattuto con gli uomini e quindi aveva imparato proprio come relazionarsi, come farsi rispettare.

Nel corso degli anni ’60, con il Concilio Vaticano II e soprattutto con l’emergere dei movimenti collettivi e del femminismo, Anselmi avverte con maggiore insistenza la necessità di un confronto più serrato, fra la dottrina della Chiesa e le grandi trasformazioni del mondo contemporaneo. In questo confronto non mancheranno le condizioni, negli anni 70 si impongono i temi del divorzio e dell’aborto, sui quali assume posizioni diverse. Nel primo caso si schiera a favore del referendum abrogativo, scelta che nelle sue memorie ricorderà come dettata soprattutto dall’esigenza di non rompere la disciplina di partito e non urtare le gerarchie ecclesiastiche. Più tardi, nel 1978, invece, si troverà a firmare come donna cattolica e come ministra democristiana alla sanità la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.

Lei come cattolica era assolutamente per la vita, però avevamo anche ragionato insieme, così tu devi guardare ai problemi che ci sono nella società, cosa sta succedendo e in quel momento serviva una regolamentazione, le inchieste c’erano, c’erano già situazioni che erano pericolose anche. Questo Zia io non lo farò perché è contro quello che io sento, però so anche che per esempio ho una famiglia che mi supporta, però ci sono queste cose che sono oggettive, quindi forse una regolamentazione. ma anche gli aiuti e i supporti perché tutti parlano della legge che ha sancito la possibilità di abortire però in quella legge c ‘è molto altro. Ci sono tutte quelle cose che possono permettere a una donna di non arrivare a scegliere l’aborto, quello mancava ed è una cosa che non si ricorda mai, però c ‘è. Tante cose non si applicano in Italia che sono sancite in Costituzione o anche nelle leggi. Quindi lei si astenne dal votare per essere anche libera di agire in modo laico come ministro nel momento in cui se la legge passa io mi trovo che ho il dovere di firmarla. Lei stessa ci chiedeva anche su argomenti difficili come poteva essere l ‘aborto, per esempio io avevo 17 anni, mia sorella ne aveva 15, quindi appena dentro alle superiori, però è venuta a chiedermi ‘tu con le tue compagne di scuola le tue amiche cosa dici come parlate di questo argomento, cosa pensate’, pretese che io ne parlassi a scuola e anche a mia sorella che andava a scuola, che era un po più giovane anche a lei non non è stato semplice parlarne perché poi gli altri non è che ne volessero parlare, cioè erano lontani anni luce per noi. Io sono cresciuta presto con lei anche per le questioni di sicurezza, cioè ti richiedono delle attenzioni e quindi un tipo di consapevolezza diversa e non era semplice parlare, però lei si confrontò con noi, cercava sempre di capire i giovani dove fossero e cosa pensassero perché credeva tantissimo nell ‘apporto di idee dei giovani, la capacità anche di analisi diversa o di uno sguardo diverso e comunque la forza che potevano portare.
Lei ha sempre vissuto la sua fede in modo attivo. C’era la preghiera, c ‘era il momento di ritiro, di confronto, ha sempre avuto il suo padre spirituale a Narni, però l ‘ha sempre tradotto nel fare.

Dopo aver maturato alcune esperienze internazionali che nel 1962 la portano a incontrare il presidente Kennedy, nel 1968 Anselmi viene eletta alla camera dei deputati dove sarà riconfermata fino all ’87. I mandati parlamentari la vedono schierata nella approvazione di diversi progetti di legge, 54 come prima firmataria per ampliare i diritti e le tutele delle donne nel mondo del lavoro. Con l’avvicinamento a Moro e la preparazione ai governi di solidarietà nazionale arriva il momento degli incarichi di governo. Nel ‘74 è sottosegretaria al ministero del lavoro, tra il ‘76 e il ‘79 diviene ministra, da prima al lavoro, poi alla sanità, e la prima volta che una donna assume l ‘incarico di ministra nella storia del Paese.

“Sì, io credo di aver speso la mia vita bene, voglio dire di non averla sciupata e l’ambizione non è tanto in quello che apparentemente realizzo, voglio dire non è che io mi misuro sul fatto che sono stata la prima donna ministro, mi misuro su che cosa realmente, sostanzialmente, sono riuscita a fare”.

Spetterà a lei condurre in porto l’istituzione del servizio sanitario nazionale, l ‘approvazione della legge sull’aborto e ancora della legge Basaglia sulla abolizione dei manicomi. Si tratta di un ‘esperienza, quella ministeriale, che descriverà nelle sue memorie come “intensa e appassionante”. Lavoro e salute ti senti al centro della vita del Paese e una grande assunzione di responsabilità, soprattutto per quanto attiene alla sanità, le ingiustizie, gli sprechi, la mancanza di tutela, sono insopportabili. La tragedia del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro la colpiscono duramente, in quei giorni, all ‘incarico di informare la famiglia delle decisioni del partito e del governo. Tocca sempre ad Anselmi comunicare alla moglie di Moro Eleonora l ‘assassinio del statista da parte delle Brigate Rosse.

Lei ha sempre avuto, anche in studio, c’era l ‘immagine di Moro e una frase di Moro che io ho messo anche nel suo santino. “Quando è mancata la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non nascerà un nuovo senso del dovere”. Questa lei l’ha sempre avuta dalla sua scrivania, alzando gli occhi c’era questo. Zia alla sera, prima del rapimento, era con lui nel suo studio e sono stati fino a tardi. Ed è stato un momento di lacerazione molto grande. Poi lei ha avuto anche questo ruolo che la famiglia stessa gli ha dato perché era l ‘unica persona del partito che poteva andare a casa Moro e tenere i rapporti tra la famiglia e il partito. È stato un dolore grandissimo.

In quegli stessi anni si susseguono vicende inquietanti. Nel marzo dell’80, proprio nel giorno della festa della donna, un ordigno con diversi chili di tritolo viene posizionato fuori dalla porta della casa della famiglia Anselmi, a Castelfranco. Era l’8 marzo, quindi la notte dell’8 marzo, quando sono venuti a mettere questi quattro chili di esplosivo anticarro della partita delle strage di Bologna, stessa partita, stessi esecutori, lo dicono gli atti dai processi per le strage di Bologna. Nonna era mancata proprio a Natale, Zia doveva arrivare da Milano con l ‘ultimo treno e all ‘ultimo momento non ce la fece a prenderlo per cui arrivò il mattino, quindi non c ‘era neanche a casa. Misero questi quasi quattro chili di esplosivo con un innesco, ovviamente, e un timer di 45 minuti. Mamma si alzò la mattina, era uscita un attimo sotto il portico, c ‘era dentro un sacco di quelli neri dell’immondizia. Aveva pensato che papà avesse lasciato lì pezzi del rasaerba, perché un mese prima c ‘erano pezzi che doveva portare a sostituire un pezzo e l’aveva lasciato nello stesso posto dentro un sacco dell’immondizia. Ha detto “ma guarda te che è ancora lì questa cosa e non è andata a toccare” e quindi si arrivò all’una quando si è tornati tutti da scuola, poi nel frattempo arriva Zia Tina e mio padre dice “guarda dammi veloce veloce che vado a piantare il prezzemolo in orto” e c’è fuori mia mamma fa “e togli quei pezzi che non posso più vederli” esce fuori, lui era stato ufficiale alpino, ha visto subito cos ‘era, credeva l’avessero appena messa, quindi prende, gira il timer per guardare quanto tempo c ‘era, poteva saltare tutto lì e viene dentro e ci dice c ‘è una bomba uscite fuori e anche lì mamma dice la nonna è andata, ha messo la mano sopra perché gli attentatori anche parlando agli atti processi non si capacitano di come mai non sia saltata perché era tutto per lì. Pensano all’umidità però gli artificieri lo stesso, e hanno detto a papà lei deve andare a mettere un cero alla madonna.

Nel marzo dell’81 scoppia lo scandalo della loggia massonica P2, guidata da Licio Gelli, una potente forza occulta infiltrata nel sistema politico, istituzionale ed economico e con lo scopo di imporre una torsione reazionaria e anticostituzionale alla vita del Paese. In Ottobre è la Presidente della Camera dei Deputati Nilde Iotti a chiedere ad Anselmi di presiedere la Commissione d’Inchiesta, incaricata di fare luce sull’intera vicenda. I lavori della Commissione sono costellati da numerosi e reiterati tentativi di delegittimazione, di isolamento e perfino di intimidazione giudiziaria. Anselmi viene denunciata tre volte alla magistratura per il modo in cui conduce le indagini, accuse prive di fondamento, che non riescono a condizionarla. Nel marzo dell’86 la camera approva una risoluzione con 322 voti favorevoli e 45 contrari, in cui i deputati fanno proprie le conclusioni della Commissione e le proposte di riforma.

“Voglio esordire, osservando come la vicenda della loggia massonica P2, sia stata per lungo tempo al centro delL’attenzione dell’opinione pubblica, che poi, soprattutto nella fase cruciale della relazione conclusiva. essa abbia monopolizzato il dibattito politico del momento, facendo passare ogni altra questione in seconda linea, questa è indubbia constatazione. Come è altrettanto indubbio che successivamente alla relazione nessuno dei temi politici che in essa venivano enuncleati ed analizzati è stato oggetto di ulteriore riflessione e dibattito”.

Quando arriva la chiamata, loro si confrontano, non era la prima persona a cui Iotti chiedeva di presiedere e tutti gli altri avevano detto di no, sapendo che era anche molto pericoloso. Zia le chiese un tempo, si confrontò con un suo collega amico, posso fare questa cosa? Posso sostenere il peso di questa cosa, cioè vado a cercare la verità, riesco a sostenere. il peso, penso di farcela, sì, se posso devo, è mio dovere civile farlo e quindi accetta. Era l ‘unica donna, ovviamente, aveva tutti contro praticamente perché nessuno in realtà voleva sviscerare questa cosa e lei fece come faceva sempre, cominciò, perché era bella, perché era semplicissima, normalissima. La vivacità: era vivace, era curiosa, no? Però poi aveva una capacità di posizionamento, di fermezza, di durezza anche, che era veramente tosta. Quindi posso pensare che certi interrogatori siano stati veramente duri, mi sarebbe piaciuto essere lì. Lei ha sofferto tantissimo la solitudine, solitudine nella sua battaglia anche in seno alla commissione, perché appena presentata la relazione tutti hanno cercato di fare una relazione alternativa quindi c ‘è stata molta solitudine, lì poi c ‘è stato comunque azioni come è stata denunciata, Gelli l’ha denunciata dopo che è stata fatta la relazione e il Parlamento le ha negato l ‘avvocatura dello Stato ma lei aveva fatto un lavoro lavoro istituzionale, aveva fatto un lavoro così documentato, firmato da tutti, perché mi neghi l ‘avvocatura dello Stato che mi spetta di diritto? Ha dovuto pagarsi lei, la difesa. Sono tutti i segnali forti che arrivano, che ti dicono dove stai andando e quanto questa cosa che tu hai scoperchiato, portato in luce, sia radicata, quindi la solitudine è stata proprio alla fine, il dolore più grande è stato alla fine, non tanto il non essere eletta, che ti tolgano la notte e il tuo seggio per mandarti dove non avresti vinto neanche se volevi, perché in una roccaforte leghista con la Lega che stava andando su non ne uscivi, era troppo forte, ma non era quello, lei ha continuato a parlare nelle scuole, a parlare con i ragazzi, a cercare di farlo. Far comprendere il valore della democrazia di vivere in uno stato democratico e l’impegno che ci vuole da parte di ognuno, la consapevolezza che è importante il loro ruolo, qualunque sia, qualunque sia l ‘apporto che possono dare, lavorare insieme. Quindi usava questa immagine, cioè se lavori insieme hai le mani pulite.

Quello che ha visto durante gli anni della Commissione d ‘inchiesta, la segna profondamente e per tutta la vita cerca di fare in modo che le conclusioni non si perdano. Scrive nel suo diario “Questi due anni e mezzo sono stati per me l ‘esperienza più sconvolgente della mia vita. Ho fatto il ministro due volte, mi sono trovata dentro quella che chiamano la stanza dei bottoni. Ma solo frugando nei segreti della P2, ho scoperto come il potere, quello che ci viene delegato dal popolo, possa essere ridotto ad un ‘apparenza. La P2 si è impadronita delle istituzioni, ha fatto un colpo di stato strisciante”. Per più di dieci anni, i servizi segreti sono stati gestiti da un potere occulto. Quando si fanno sentire i primi segni del Parkinson, Anselmi si muove con la stessa combattività che l ‘ha contraddistinta e pubblica il suo libro sulla loggia. Lei è stata bravissima a fare tutto per proteggere molto la famiglia. Anche dopo, quando ha cominciato a non stare bene, quando c ‘era un po’ di Parkinson, quando ha capito quale era la parabola della malattia, lì ha proprio deciso di pubblicare il libro sulla P2, organizzare le presentazioni per paura che potesse essere tirato via, fatto sparire, avevano già più di una presentazione. Nelle università c ‘erano già tesi di laurea, già iniziate sull’argomento, quindi in quel periodo lei proprio ha preso, ha selezionato tutti i documenti che aveva a casa, si è fatta aiutare e poi ha portato qui a Roma, archiviato al Flaminio di Roma. E la mattina che io sono uscita, lei è mancata la notte, il primo novembre, io sono uscita alle 7.30 di mattina per andare , e mi ricordo che alle 7 .30 c’erano due o tre persone che andavano in chiesa e che andavano a messa. Quelli che ho visto intorno erano digos, carabinieri, i carabinieri in divisa, e tutti quei tre giorni. Giorni con i cani a bonificare tutti i passati giardini, le mura del castello, l ‘interno, avevano bloccato le strade, ci hanno chiesto di andare a piedi fino al cimitero, perché era più semplice. Nessuna bicicletta, vuoto, poi era diventato anche buio. E noi a piedi, dietro il feretro, la cappellina che quelli che abitavano lì, che sapevano che passava di là, hanno aperto, hanno fatto rintoccare rintoccare le campane come una volta. Non è stato tranquillo neanche quel momento lì.

Ma come era la zia Tina? Come viveva la sua vita quotidiana assieme alla sua famiglia a Castelfranco? Come ha vissuto tutti questi anni pieni di tensioni, dolori e fatiche? Come riusciva a sopportare la tensione?

Aveva sicuramente dei livelli di preoccupazione anche molto molto alti perché poi quel periodo erano arrivati lettere minatorie, di solito quando arrivavano gli spiegamenti era perché ne è arrivata una anche a casa oltre che a Roma però c ‘era anche la naturalezza del dare supporto reciproco tra di noi che era quello che poi faceva sì che lei potesse dormire serena la sera lei metteva la testa sul cuscino e si addormentava, io lo so perché fa ho fatto tante vacanze con lei in alta montagna anche da ragazzina, bambina io e lei in rifugio a 2.000 metri e so che lei, era un attimo, si addormentava, la mattina si svegliava ed era gioiosa, era così impegnata a vivere il presente che non c ‘erano i momenti che ti sedevi e ti raccontava le storie della guerra. Speravo in un tempo di vecchiaia, quando sarebbe stata più tranquilla di farmi raccontare le cose che mi erano rimaste, le curiosità, ma non c’è stato. Era negata per i lavori donneschi, come si diceva un tempo, già dovevi sempre starci attenta a casa. Quando metteva su la moka del caffè perché la metteva su. Ma suonava il telefono in continuazione per cui quando sentivamo zia fare i tre gradini e venire qua, sapevi che eri in cucina. cucina faceva quello e poi sentivi telefono e Zia che andava al telefono a quel punto qualcuno andava in cucina perché sennò…

Nell ’89 svolge il suo ultimo incarico come presidente della Commissione nazionale per la parità tra uomo e donna della presidenza del Consiglio, ma il suo impegno nella sfera pubblica non si esaurisce. Lavora alle accuse di violenza da parte di soldati italiani in Somalia, alle conseguenze delle leggi razziali per la comunità ebraica italiana e naturalmente alla memoria della resistenza. Testimoniando sempre fino all ‘ultimo che era possibile vivere intensamente guidati dai propri ideali.

Le figlie della Repubblica Repubblica è una delle iniziative che trovate su fondazionedegasperi.org, grazie al contributo di Fondazione Cariplo e al sostegno dell ‘Istituto Gentili, nata da un ‘idea di Martina Baccigalupi e realizzata da Whip Italia. È stato raccontato da me, Alessandro Banfi, ed è stato scritto e diretto da Emmanuel Exitu. Con la Supervisione Storica di Antonio Bonatesta è la collaborazione degli amici giovani della Fondazione de Gasperi nelle persone di Martina Bartocci, Jacopo Bulgarini, Miriana Fazzi, Federico Andrea Perinetti, Gaia Proietti, Luca Rosati, presa diretta e sound design di Valeria Cocuzza, registrazione in studio di Marco Gandolfo, per una produzione Whip Italia.


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