Settant’anni fa moriva lo statista trentino, tra i fondatori della Democrazia Cristiana e padre della Prima Repubblica. A colloquio con il segretario della Fondazione che porta il suo nome. La sua lezione è valida ancora oggi
«De Gasperi fu profondamente innamorato del proprio Paese», spiega Paolo Alli, segretario della Fondazione De Gasperi. «Da fervente cattolico, seppe interpretare laicamente il proprio ruolo politico, caratterizzandosi per capacità di dialogo e di creazione del consenso. Anche quando la Democrazia cristiana avrebbe potuto essere autosufficiente, De Gasperi allargò il governo ad altre formazioni. Pazienza, determinazione, costanza, rispetto per l’avversario, hanno caratterizzato la sua azione. Di tutto questo sembra essersi persa ogni traccia nella politica di oggi».
E oggi? Quali aspetti del pensiero dello statista ritiene ancora rilevanti per la politica europea?
«Intuì l’importanza di quella che lui stesso definì “la nostra patria Europa”, perché si rendeva conto delle origini e del destino che accomunano i nostri popoli. Sapeva che una sovranità condivisa sarebbe stata una sovranità molto più forte. Su questo dovrebbero riflettere populisti e sovranisti di oggi. La sua intuizione più visionaria e profetica fu, probabilmente, la necessità di una Comunità Europea della Difesa, che avrebbe rappresentato un passo decisivo per l’integrazione politica. Purtroppo, nonostante le sue strenue battaglie, il progetto fallì pochi giorni dopo la sua morte per l’opposizione dell’Assemblea Nazionale francese. A 70 anni di distanza, stiamo oggi misurando le drammatiche conseguenze di quella mancata scelta».
La storia non si fa con i se. Ma cosa pensa che direbbe De Gasperi sullo stato attuale dell’Unione Europea?
«Soffrirebbe per la lentezza del percorso verso la completa integrazione europea».
Quella della sofferenza è un aspetto rilevante della sua personalità …
«È vero. MA Apprezzerebbe, però, la solidarietà e la visione unitaria dimostrate, per la prima volta, dalle istituzioni europee in reazione alle due più grandi emergenze degli ultimi decenni: la pandemia e l’aggressione russa all’Ucraina. Constaterebbe, al tempo stesso, l’attualità della sua visione di un’Europa costruita su tre pilastri: giudaico-cristiano, liberale e socialista, e ripeterebbe, come disse nel 1954, che “nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o nell’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa».
Quali lezioni potrebbero trarre i leader politici attuali dalla leadership di De Gasperi?
«Nel suo recente, ottimo libro dal titolo Il Costruttore, Antonio Polito elenca cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi. Ne cito due. Essere antifascista significa essere contro ogni forma di totalitarismo. Fu incarcerato dai fascisti, combatté e sconfisse i comunisti alle elezioni, non cedendo di un millimetro rispetto ai suoi ideali. Considerò l’antifascismo come una “pregiudiziale ricostruttiva”. Prima ancora della grande opera di edificazione di un Paese distrutto materialmente e moralmente, si preoccupò di collocare l’Italia nel nuovo contesto internazionale dentro una prospettiva saldamente atlantista, dimostrando così come la politica estera debba essere il riferimento delle scelte di politica interna».