In una Washington torrida e blindata dalle eccezionali misure di sicurezza previste per i grandi eventi internazionali si svolge il vertice dei capi di Stato e di Governo della NATO. Per la prima volta sono 32 i Paesi partecipanti, dopo l’adesione di Finlandia e Svezia: la NATO più potente di sempre.
Le sale nelle quali si svolge il Public Forum, la manifestazione collaterale al vertice organizzata dalla stessa NATO in collaborazione con i principali think tank americani, sono popolate da diverse centinaia di specialisti, politici, rappresentanti di varie organizzazioni. Le voci dei protagonisti si susseguono sul palco del centro congressi: presidenti della repubblica, primi ministri, ministri degli esteri e della difesa della gran parte dei Paesi NATO intervengono personalmente in una serie serrata di dibattiti e incontri, confrontandosi sui temi del momento. La scelta di tenere il vertice a Washington non è certo casuale: essa avviene nel settantacinquesimo anniversario della firma del Patto Atlantico, nel più importante anno elettorale della storia dell’umanità e alla vigilia della madre di tutte le elezioni, quella del Presidente degli Stati Uniti.
Anche se il clima da campagna elettorale americana non è ancora entrato nel vivo, aleggia il fantasma del duello tra Biden (o chi eventualmente ne dovesse prendere il posto) e il super favorito Trump. Gli incontri, che si susseguono con un ritmo incalzante, sembrano voler dare rassicurazioni al mondo dell’unità profonda che, ancora una volta, la NATO ritrova, a partire dalla difesa dei valori della democrazia e della pace, una unità che resisterà, qualunque sarà l’esito delle elezioni di novembre.
Non è semplice riassumere in poche righe una giornata veramente molto intensa.
Sono, come sempre, gli USA a dettare la linea fin dai primi interventi. Il Segretario di Stato Antony Blinken, il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin e il comandante supremo delle forze NATO in Europa, generale Christopher Cavoli, disegnano un quadro chiaro, preoccupato ma rassicurante, nel quale la guerra in Ucraina rappresenta ancora e sempre il principale punto di preoccupazione e riflessione.
- E’ sul fronte del sostegno a Kiev che si sviluppa tutta la giornata: Blinken annuncia l’avvio ufficiale della consegna dei jet F-16 a Kiev da parte di Paesi dell’Alleanza e un intervento di sostegno straordinario da 40 miliardi di dollari. Si tratta di prevenire una nuova guerra globale incrementando il livello di deterrenza, come nella guerra fredda. E’ in gioco, per l’Occidente, la capacità di difendersi per i prossimi decenni, e questo richiede aumento e razionalizzazione degli investimenti, rafforzamento dell’industria della difesa, innovazione tecnologica.
A rassicurare ulteriormente Kiev, la rassicurazione che il ponte creatosi con l’Alleanza Atlantica si rafforza e, pur se non ancora calendarizzata, l’entrata dell’Ucraina nella NATO è un fatto ormai irreversibile.
- Il Segretario Generale uscente Jens Stoltenberg, al quale i partecipanti al Forum dedicano una lunga standing ovation, sottolinea come occorra essere certi che quando il conflitto finirà la soluzione trovata possa reggere nel tempo, e che non ci si possa perciò accontentare di una mezza resa a Putin.
- E’ sempre Blinken, la voce più autorevole del Governo americano, ad affermare che gli USA devono rafforzare l’Alleanza, anche nel proprio interesse: una sorta di avvertimento a Trump, che pare non pensarla esattamente così.
- Sul piano militare, secondo il Generale Cavoli la NATO deve mettere a punto uno strategic concept, un piano strategico che non si limiti alla semplice reazione alle emergenze. Di fronte alla capacità di adattamento che la Russia ha dimostrato nel conflitto in Ucraina, serve una risposta decisa, da parte dei singoli Paesi e dell’intera Alleanza, in termini di adeguamento rapido ai nuovi scenari, a partire dal rafforzamento dell’industria della difesa.
- Sullo sfondo giganteggia il tema della Cina, ormai vista come il grande problema per la sicurezza globale. Non è un caso che Pechino abbia annunciato, proprio alla vigilia del vertice di Washington, esercitazioni militari congiunte tra Cina e Bielorussia, che porteranno per la prima volta soldati e mezzi cinesi ai confini dell’Europa. L’ingombrante presenza di Pechino appare come il classico elefante nella stanza, e la sicurezza del nord-Atlantico appare sempre più legata a filo doppio con quella nell’Indo-Pacifico. Xi Jinping, infatti, osserva con attenzione gli sviluppi della guerra in Ucraina, e se Putin dovesse avere la meglio, cosa potrebbe trattenere la Cina dal prendersi Taiwan, come da anni sta facendo con le isole del mar Cinese orientale e meridionale?
In questo contesto di tensioni ad est, la NATO non dimentica tuttavia né il fronte sud, né quello del grande Nord.
- Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez affronta il tema del fianco meridionale, accentuato dal conflitto Israele-Hamas. Esso implica una maggiore integrazione tra NATO ed Unione Europea e un rafforzamento del dialogo con l’Unione Africana e le organizzazioni multilaterali del mondo arabo. In questo senso, l’istituzione di un inviato speciale della NATO per il sud rappresenta un segnale di grande importanza.
- Da un interessante confronto tra i ministri degli Esteri di Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda e Canada, emerge come la sicurezza del continente Artico, dove i cambiamenti climatici hanno un influsso superiore di 4 volte a quanto accade nel resto del pianeta, rappresenti una grande preoccupazione. Oggi tutti i Paesi del Consiglio Artico, ad eccezione ovviamente della Russia, sono membri della NATO dopo l’adesione di Finlandia e Svezia. Anche qui, dove si gioca una delle sfide più importanti dei prossimi decenni, la cooperazione tra Russia e Cina è vista con preoccupazione, e l’evolversi degli scenari naturali, con il rapido scioglimento dei ghiacci, richiede rapidi cambi dei paradigmi difensivi.
- Non poteva mancare il tema delle spese per la difesa, con il parametro del 2% del PIL, oggi raggiunto da 23 alleati su 32 (nel 2020 erano solo 3 ed erano aumentati a 7 nel 2021). Gli accordi del vertice del Galles del 2014 (arrivare al 2% del PIL in 10 anni) sono quindi stati rispettati da molti Paesi membri ma non da tutti. L’influente senatore repubblicano Thom Tillis sottolinea che se tutti avessero rispettato questa soglia negli ultimi 10 anni, si sarebbero potuti investire nella sicurezza dai 1.000 ai 2.000 miliardi di dollari in più. Se ciò fosse accaduto, si sarebbe raggiunto un livello di deterrenza tale che la guerra in Ucraina non avrebbe potuto accadere. Ipotesi teorica, ma suggestiva. Lo stesso Tillis, al termine della giornata, in un confronto di estremo interesse con un’altra importante senatrice democratica, Jeanne Shaheen, fa l’esempio di come la Finlandia abbia acquistato 65 jet F-35, con un parametro rispetto alla popolazione che, se applicato agli stessi USA, comporterebbe 4.000 aerei in servizio continuo.
Tillis afferma anche che a tutti piacerebbe poter spendere di più per politiche interne a favore del popolo, ma che la sicurezza viene prima di tutto. E con la Shaheen si trovano d’accordo praticamente su tutto: Putin va sconfitto sul campo in Ucraina e la legislazione americana blinda in modo assoluto la fedeltà all’Alleanza Atlantica. Ha funzionato alla perfezione per 75 anni, non si vede perché dovrebbe essere messa in discussione.
Come dire: Trump o Biden (o un altro?), in politica estera per gli Stati Uniti cambierà ben poco.
Un segnale confortante, non c’è dubbio.
Paolo Alli
10 luglio 2024