di Stefano Mambretti
Le decisioni migratorie sono influenzate da caratteristiche individuali, strategie familiari, contesti socioeconomici, istituzionali e culturali. Gli aspetti ambientali delle zone povere del mondo sono un altro fattore, spesso poco considerato, ma che sta assumendo sempre maggiore importanza.
All’uso indiscriminato delle risorse, negli ultimi decenni si è aggiunto il tema del cambiamento climatico, che provoca l’innalzamento del livello del mare (che può introdurre acqua salata nelle falde potabili), periodi di siccità prolungata seguiti da precipitazioni intense e distruttive. Per fare un altro esempio, la Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta. E si potrebbe proseguire.
Quando si parla di cambiamenti climatici ci si focalizza sulla necessità di ridurre le emissioni: la “mitigazione”. Questa è una strategia a lungo termine, che deve essere affiancata ad un’attenzione al presente così da costruire una strategia di adattamento. Le incertezze di oggi richiedono un approccio progettuale flessibile, che devono rispondere alle situazioni regionali e locali: va evitata l’illusione di un unico rimedio valido in qualunque contesto. La gestione dell’adattamento deve essere abbastanza elastica da poter integrare le misure strutturali, basate sull’ingegneria, con le misure focalizzate su un approccio eco-sistemico, e con le misure più “leggere”, giocate sugli aspetti gestionali, giuridici e politici. La scienza sta proponendo approcci alternativi a quelli tradizionali, che richiedono però una piena condivisione, per produrre nuovi standard e nuovi paradigmi per la progettazione.
Stando così le cose, risulta evidente come l’approccio al problema, che nell’attuale età della scienza e della tecnica pare essere diventato estremamente specialistico, deve assumere caratteri di transdisciplinarietà, anche tornando a coinvolgere la società nelle scelte politiche, al fine di rimettere al centro delle decisioni la persona nella sua complessità.