Di Michelangelo Di Castro.
La questione iraniana in questi ultimi giorni ha avuto un brusco risveglio a causa dell’eliminazione del generale Qasem Soleimani. La Fondazione De Gasperi ha voluto approfondire le cause e le conseguenze dell’uccisione del militare iraniano intervistando un esperto di Iran e medio-oriente come il professore Nicola Pedde, Direttore dell’Institute of Global Studies, per avere una panoramica sull’affaire Soleimani.
Chi era il generale Qasem Soleimani e quali sono state le cause della sua morte?
Soleimani era a capo della Quds Force una componente IRGC (Islamic Revolutionary Guard Corps) deputata alla direzione delle operazioni internazionali. È stato un uomo chiave nella gestione dei principali focolai di crisi regionali dalla guerra in Siria al conflitto in Iraq, dallo Yemen al Libano all’Afghanistan e, soprattutto, è stato un grande negoziatore con le varie potenze regionali e con gli americani. La morte di Soleimani si inserisce in una dinamica critica all’interno dell’amministrazione americana: l’iniziativa dell’operazione sembra essere imputabile al Segretario di Stato Mike Pompeo, di cui sono note le posizioni anti-iraniane, contro la volontà della gran parte degli apparati della difesa, dell’intelligence e delle forze armate. All’interno di tali apparati sta emergendo un sentimento di forte opposizione nei confronti dello stesso Segretario di Stato.
Chi è invece il suo successore Ismail Ghani?
Il generale Ghani era suo diretto subordinato ed è la persona nominata al vertice della Quds Force. È un uomo molto diverso da Soleimani il quale non amava entrare nel sistema mediatico e politico iraniano. Al contrario il suo successore è famoso per le sue posizioni antiisraeliane e aggressive nei confronti degli Stati Uniti. È una figura sicuramente più allineata IRGC e, dunque, ci si aspetta un grado di pragmatismo molto inferiore rispetto a al suo predecessore, ma questo non significa che ad oggi cambino di molto le cose.
Questo atto di forza degli Stati Uniti cosa ha comportato sul piano interno ed esterno? La conseguenza determinerà un’escalation di conflittualità o un acceleramento dei processi pace?
Sul piano interno l’assassinio di Soleimani ha creato un meccanismo di coesione sociale nel senso che, ai funerali del generale, hanno partecipato un numero di persone che sembra addirittura superiore a quelle che parteciparono ai funerali nell’89 dell’Ayatollah Khomeini. Dimostrazione del fortissimo sentimento di identità nazionale del popolo iraniano che ha permesso di saldare quelle due componenti della società quelle della terza generazione, ovverosia dei più giovani con la seconda generazione, o meglio quella delle componenti militari dell’IRGC e della Quds Force che hanno rappresentato il principale strumento di repressione dell’opinione pubblica e delle istanze di questa giovane generazione antisistema, critica e alla costante ricerca di riforma. Un grande successo immediatamente vanificato a causa dell’abbattimento dell’areo civile ucraino che ha riportato la popolazione a protestare chiedendo le dimissioni del governo e della guida stessa.
Sul piano esterno il risultato è quello di aver portato l’Iran a condurre questa operazione di ritorsione nei confronti degli americani. Ritorsione che si è concretizzata nell’attacco missilistico alle due basi americane in Iraq (a Ayn al-Asad ed Erbil). L’attacco si è concluso senza perdite in termini di vite umane grazie ad un’oculata gestione dell’operazione sul piano della sicurezza da parte dell’Iran che prima di intervenire ha preventivamente informato lo stato l’iracheno che a sua volta ne ha dato tempestivamente avviso al personale militare statunitense. Questo è stato molto apprezzato tanto che gli USA a loro volta hanno accettato di avviare una de-escalation che dovrebbero portare idealmente alla definizione di una nuova piattaforma negoziale.
Questa nuova situazione geopolitica può avere delle conseguenze sulla missione italiana in libano UNIFIL e quindi comportare un più concreto rischio per le nostre truppe?
Gli Stati Uniti e l’Iran non sembrano in alcun modo intenzionati a una escalation. L’unico rischio più rilevante è che i militari italiani spesso fanno parte di dispositivi nei quali partecipano truppe come quelle statunitensi, dunque la possibilità di divenire obiettivi indiretti. Inoltre la missione UNIFIL rientra in un dispositivo ONU, voluto da entrambi gli schieramenti libanesi ed israeliani, per garantire la sicurezza e il cessate il fuoco. Dunque i pericoli rientrano nella normale gestione dei rischi che fanno capo a tali operazioni pur essendovi degli ulteriori rischi collegati ad un’ipotetica escalation.