Questi mesi sono drammaticamente punteggiati di eventi che hanno a che fare col terrorismo islamista. Il ritmo è di oltre un caso a settimana legato a quel terrorismo: ciò conferma la diffusività e la pervasività della guerra ibrida in corso; l’efficacia della propaganda di Daesh e la sua attrattività; l’elevata probabilità di accadimento associata a una equivalente imprevedibilità del manifestarsi di queste minacce. Vale la pena soffermarsi soprattutto sulle novità delle ultime 48 ore. “La misura è colma” sembra essere il nuovo mantra della politica nazionale e internazionale. Il primo ministro May lo ha affermato con un “quando è troppo è troppo” che mostra la decennale incapacità britannica di governare la multietnicità imperiale, concentrata nelle città dell’Isola madre. La novità di questa affermazione sta nel riconoscimento di essere andati troppo oltre, per avere concesso quanto dal terrorismo è stato sfruttato, e di proporre una riorganizzazione securitaria della società britannica.
Il medesimo senso, di misura superata, si ritrova nella rottura tra Emirati, egiziani e sauditi con i vecchi amici qatarini. A quanto pare questi ultimi hanno flirtato troppo con il terrorismo. Il wahabismo che lega Arabia Saudita e Qatar è all’origine della stagione di terrorismo islamista che stiamo vivendo ed entrambi i paesi sono responsabili della crescita e del sostentamento di al Qaida, Daesh e compagini jihadiste. La novità sta nell’accusa di vicinanza all’Iran mossa al Qatar dai suoi ex amici: le relazioni pericolose con il Satana iraniano, additato come la causa di tutti i mali nella recente visita di Trump proprio ai sauditi, sembrano consumare un tradimento sunnita-salafita-wahabita. Di certo questa frattura ha un impatto rilevante sui circuiti economici e può riorganizzare il terrorismo nel braccio armatissimo di una guerra sempre meno per procura, ma più diretta, più globale e più efficace nel consumare la recente disponibilità di armi acquisita dai sauditi.
Gli altri due eventi delle ultime 48 ore sono l’attentato di Londra e il disastro di Torino legati dal filo rosso della “falsa informazione”. A Londra l’attacco con l’automobile scagliata sulla folla da parte dei terroristi non rileva nulla di nuovo eccetto l’impiego di false cinture esplosive. Armi inutili a uccidere ma utili a provocare paura e rendere più facile un’azione con coltello. False cinture che non richiedono competenza tecnica ma inventiva comunicativa e possono essere realizzate rapidamente. False cinture il cui unico risultato certo è la morte degli attaccanti come martiri, uccisi dall’intervento delle forze speciali. Eccoci ai terroristi fai da te, decisi e frettolosi nell’organizzarsi, ma che introducono la comunicazione al livello tattico della azione.
A Torino, centinaia di feriti di cui un paio gravissimi, per un’onda di folla che schiaccia e travolge, lanciata da un falso allarme, forse un botto, che materializza la paura e la reazione. Non mettiamoci a discutere di psicologia delle folle: quanto questa disciplina insegna è chiaramente scritto nella descrizione dell’evento. La folla ha reagito come prevedibile a seguito di un segnale di allarme che è interpretato nel quadro ampio della paura di essere vittime di un attacco terroristico. Il tentativo di decontestualizzare il meccanismo interpretativo attivatosi a Torino dallo scenario di chi ha negli occhi Londra e Parigi è una “pippa” mentale che genera vulnerabilità. Non si tratta neppure di psicosi ma di una reazione a una attenzione diffusa, la possibilità di un attacco terroristico, in assenza di competenze specifiche. Anche a Torino una informazione falsa produce effetti nel quadro di quello che diventa un “attacco”: il primo in Italia dovuto alla vulnerabilità della gestione di questo tipo di eventi. Complici istituzioni silenti perché infingarde. Insomma due false comunicazioni, due risultati diversi, un comune denominatore: il terrorismo. Per il futuro non possiamo fare altro che aspettarci, senza potere prevedere, questo genere di eventi: Londra e Torino. Il dramma è che il pubblico è consapevole del rischio ma non ha i mezzi per gestirlo e le istituzioni non rispondono a questo bisogno. La sicurezza non si gestisce solo con lo splendido lavoro preventivo delle agenzie e con quello seguente dei servizi di emergenza. La sicurezza si promuove fornendo ai cittadini sia i codici interpretativi sia i codici operativi per comprendere e poi attivarsi in caso di evento. I cittadini lo chiedono e sono disponibili a considerare questa (in)formazione. Insomma, le ultime sono 48 ore che, malgrado gli sforzi che troppi fanno per disconnettere gli eventi che le punteggiano da una lettura coerente con lo scenario drammatico della “Terza Guerra Mondiale a capitoli”, ci riportano inevitabilmente all’attualità del conflitto diffuso. Il dato positivo è che l’aumento della consapevolezza di questo scenario tra i cittadini riduce la possibilità di inganno e dissimulazione finora perpetrata dai governi.
a cura di Marco Lombardi DIRETTORE C.E.T.Ra