In inglese si definisce “game changer” una persona o una cosa che influisce in maniera significativa sul risultato finale di un processo. Nelle elezioni iraniane il game changer è stato, senza dubbio, il Consiglio dei Guardiani. Formato da 6 teologi e 6 giuristi, il Consiglio ha il compito di verificare la conformità delle deliberazioni parlamentari iraniane con l’Islam e la Costituzione. Ma il ruolo chiave giocato dai 12 esperti non finisce qui: essi, infatti, hanno il compito di verificare l’idoneità delle candidature parlamentari e presidenziali, potendo persino invalidare il voto popolare. E’ proprio seguendo questa linea che il Consiglio dei Guardiani ha deciso di bocciare la candidatura del falco conservatore Ahmadinejad. Divenuto famoso per le sue posizione antisemite e negazioniste, la candidatura alle elezioni presidenziali dell’ex sindaco di Teheran aveva suscitato alcuni timori fra i commentatori iraniani. Nel suo precedente mandato presidenziale, fra il 2005 e il 2013, aveva apertamente sfidato l’Occidente e gli Stati Uniti minacciando di attaccare militarmente lo stato israeliano. Nei primi mesi dalla sua elezione, Ahmadinejad aveva, infatti, ampiamente contestato il diritto di esistere di Israele specificando che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi era illegale e chiunque avesse riconosciuto Israele sarebbe “bruciato nel fuoco della furia della nazione islamica”. Israele doveva, nelle sue parole, “essere cancellata dalla mappa geografica”.
La presidenza di Ahmadinejad aveva destabilizzato lo status quo persino all’interno dei confini iraniani. La poetessa Fatemeh Shams alcuni giorni fa, dalla sua pagina di Facebook, ha ricordato come la presidenza di Ahmadinejad aveva scosso la nazione iraniana versando sangue innocente, esiliando gli uomini più ingombranti e imprigionando ingiustamente decine di persone.
Una possibile vittoria di Ahmadinejad avrebbe potuto, dunque, destabilizzare nuovamente la regione e la nazione. In molti, infatti, vedono nella decisione del Consiglio dei Guardiani la lunga mano della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei. Khamenei, leader supremo della Repubblica Islamica Iraniana, aveva già in precedenza espresso tutta la sua contrarietà alla candidatura dell’ex sindaco di Teheran, considerata pericolosamente destabilizzante per il Paese. Nonostante il consiglio dell’Ayatollah, Ahmadinejad aveva comunque proseguito, forte di alcuni appoggi nell’ala più conservatrice delle Guardie della Rivoluzione, e nella sua campagna elettorale aveva sfidato apertamente il potere della guida suprema del Paese.
Ora, però, la sfida resta orfana del candidato più discusso e forse più temuto dall’Occidente. La corsa si accende attorno a tre figure. L’ala moderata punta sulla rielezione dell’incumbent Hassan Rouhani. Nonostante i moderati abbiano molte possibilità di vittoria, l’attuale situazione di difficoltà economica, dovuta in particolare alle sanzioni ancora in vigore, potrebbe spingere molti indecisi verso una scelta più conservatrice. Nel campo conservatore, infatti, spiccano due candidature: quella del laico Mohammad Baqer Ghalibaf, sindaco di Teheran, già capo delle forze di polizia e vicino all’ala militare del Paese, e quella di Ebrahim Raisi considerato da molti come il futuro erede dell’Ayatollah Khamenei e, per questo, ben visto dalle forze religiose del Paese. Molti sono gli indecisi che il 19 maggio si recheranno alle urne ma una cosa però è certa: Ahmadinejad potrà solamente guardare la corsa. Quando il Consiglio dei Guardiani parla, cambia realmente il destino del Paese.
Nicola Bressan