Radicale, carismatico, estremista, militante e intransigente: questi sono solo alcuni degli aggettivi utilizzati dai media per descrivere Yehya Sinwar, nuova leader di Hamas nella striscia di Gaza.
Sinwar, 55enne palestinese, inizia la sua militanza fra i ranghi della Fratellanza Musulmana e si distingue, già prima della formazione ufficiale di Hamas nel 1987, per la creazione del gruppo armato “Brigate del martire ‘Izz al-Din al-Qassam” per poi impegnarsi in un’opera di “punizione morale” contro i palestinesi considerati colpevoli di collaborare con il nemico sionista.
L’elezione – dai dettagli non del tutto chiari – di Sinwar (ormai pronto a prendere il posto di Ismail Haniyeh), giunge al termine di un lungo conflitto interno ad Hamas. Sono infatti due le correnti che all’interno del gruppo si sono scontrate: una più “moderata”, rappresentata da Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal, vicina al Qatar e restia ad un conflitto armato con Israele, e un’altra vicina all’Iran, più radicale e più incline ad un conflitto aperto con Israele. Il loro leader Mohammed al-Deif, per molto tempo accreditato come possibile futuro capo di Hamas, viene considerato da molti palestinesi una leggenda vivente: le sue precarie condizioni di salute, dovute secondo alcuni reportage anche ai diversi attacchi scagliati contro di lui dalle forze israeliane, hanno consentito a Sinwar di avere il via libera per la sua elezione. Il nuovo leader di Hamas, liberato nel 2011 dagli israeliani in seguito ad un accordo di scambio di prigionieri, viene considerato erede naturale di Deif e l’unico in grado di colmare il vuoto di potere attualmente presente nella gerarchia del braccio militare del gruppo.
Alcuni analisti si sono affrettati a bollare la sua elezione come un mero passaggio di consegne all’interno del microcosmo di Hamas. Nonostante ciò, sono molte le premesse per le quali questa elezione potrebbe essere considerata come un punto di svolta, certamente non positivo, nel mondo delle relazioni internazionali.
In primo luogo, vi sono fondati timori circa un possibile avvicinamento di Sinwar al Califfato islamico. Il nuovo leader, infatti, non ha mai nascosto la sua ammirazione per l’Iran e, in particolare, per una collaborazione con l’ISIS nel Sinai. Kobi Michael, ricercatore al Israel’s Institute for National Security Studies, ha evidenziato, infatti, come la vittoria del 55enne palestinese testimoni la vittoria dell’ala estremista di Hamas e l’inizio di una fase destabilizzante per l’intera regione.
Anche le relazioni tra la Palestina e Israele potrebbero essere pesantemente influenzate dal nuovo corso. Con Fatah ormai all’angolo, la nuova leadership di Gaza pare pronta, ora più che mai, all’ennesimo round di scontro con Israele. Le IDF (Israel Defense Forces) hanno combattuto dal 2008 tre guerre contro Hamas e gruppi affiliati e, negli ultimi mesi, stanno costantemente informando il mondo intero della costruzione di tunnel sotterranei e postazioni missilistiche da parte del gruppo, incurante del cessate il fuoco firmato nel 2014. L’elezione di Sinwar a capo di Hamas ha trasformato l’ipotesi di uno scontro armato in una questione di tempo: non ci si chiede più se ci sarà, ma quando.
Nicola Bressan