Il conflitto arabo-israeliano è uno dei più longevi della storia contemporanea e da quasi settant’anni sconvolge l’ordine internazionale e la stabilità di tutto il Medioriente.
A partire dal 1948 infatti, con la proclamazione dello Stato d’Israele, i paesi arabi hanno reagito considerandolo un atto di forza nei confronti della Palestina. Da qui è iniziata una lunga serie di conflitti per il possesso ed il riconoscimento territoriale dei due stati, sfociata poi in una profonda crisi internazionale. Nonostante i diversi tentativi di pacificazione e risoluzione del conflitto, spesso mediati da stati terzi, la soluzione sembra essere ancora oggi di difficile attuazione.
Oltre alle migliaia di vittime causate ogni anno dal conflitto, uno dei principali punti di scontro è quello relativo agli insediamenti israeliani in Cisgiordania, in lingua inglese chiamata West Bank (la sponda occidentale), regione che avrebbe dovuto far parte dello stato arabo-palestinese come previsto dal piano di spartizione dell’ONU del 1947, in seguito controllata militarmente da Israele a partire dalla guerra dei sei giorni del 1967. Considerata dagli ebrei la “terra natale” dei propri antenati e spesso citata nella Bibbia, molti israeliani hanno approfittato del controllo militare di Israele su parte della Cisgiordania per fondarvi proprie comunità.
Tutte le maggiori organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, l’Unione Europea, Amnesty International e la Human RightsWatch, considerano gli insediamenti illegali secondo il diritto internazionale.
Lo scorso dicembre è stata approvata una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU che condanna la validità legale delle colonie israeliane, intimando l’interruzione di ogni attività in tal senso. Per la prima volta dopo anni, gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, si sono astenuti senza utilizzare il proprio diritto di veto per bloccare una misura contraria agli interessi Israele. Il gesto degli USA è stato letto dal primo ministro israeliano Netanyahu, come un “tradimento”, tanto che egli aveva immediatamente dichiarato di voler attendere l’insediamento dell’Amministrazione Trump, convinto che questa avrebbe apportato benefici al popolo israeliano.
Nonostante la risoluzione, lo scorso 6 febbraio il parlamento israeliano ha approvato in viadefinitiva una legge che permette ad Israele di legalizzare 3.800 alloggi in Cisgiordania.
Secondo la norma, i proprietari palestinesi possono chiedere un risarcimento pari al 125% del valore dei terreni, oppure scegliere altri terreni ove insediarsi. Inoltre, la misura permette al Ministro della Giustizia israeliano di aggiungere altri nomi alla lista degli avamposti, previa approvazione della Commissione Parlamentare Giustizia, Legge e Costituzione, concedendo in futuro, ulteriori insediamenti. La legge, definita “della regolarizzazione”, è stata voluta fortemente dal partito conservatore Focolare Ebraico, molto vicino ai coloni. Prima di essere approvata, questa aveva subito un momento di arresto in seguito alle dichiarazioni del Presidente Trump che definiva la situazione degli insediamenti un “ostacolo alla pace”.
La nuova legge ha scaturito numerose critiche all’interno del Paese, ove diversi politici, accademici e personalità di spicco, tra cui il Procuratore Generale di Israele, si sono schierati contro la stessa poiché viola la Quarta convenzione di Ginevra secondo cui “la potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato”.
Assodato che bisognerà osservare gli sviluppi e le conseguenze che la decisione del parlamento israeliano produrrà soprattutto a livello internazionale, la nuova legge, secondo molti, potrebberallentare il processo di pacificazione tra Israele e Palestina.
Uno dei punti focali dell’eventuale soluzione al conflitto è infatti la cosiddetta “soluzione a due stati”, caldeggiata da diversi Paesi e organizzazioni internazionali. Quest’ultima ipotizza ilreciproco riconoscimento territoriale di entrambi gli Stati, prevedendo la cittadinanza palestinese ai residenti in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Ad ogni modo, le molteplici critiche e petizioni mosse tanto sul piano interno, che su quello estero,rendono lecito aspettarsi che la norma non avrà seguito e non si esclude l’annullamento della stessa da parte della Corte Suprema israeliana, la quale ha recentemente ordinato lo smantellamento di un insediamento illegale in Cisgiordania.
Lorenzo Salvati