Quale futuro per i cattolici? Questa è la domanda che emerge da più fronti, quando si parla di una risposta liberal-cattolica alla crisi politica nazionale, che possa offrire un’alternativa seria e vincente alla tanto vituperata retorica populista. Quali possono essere i punti di riferimento per organizzare una proposta organica, unitaria, lungimirante e, soprattutto, chiaramente ispirata alla propria tradizione, alla propria dottrina – inclusa la dottrina sociale della Chiesa – e alla propria fede? In definitiva, una proposta che possa essere cattolica.
A distanza di oltre 25 anni dalla sua morte, il pensiero e la figura di Augusto Del Noce (1910-1989) rappresentano un punto di partenza imprescindibile per i liberal-cattolici del nostro paese: “Tutta la filosofia politica di Del Noce può essere vista come il tentativo di offrire una sponda culturale a De Gasperi. Anzi, si potrebbe dire che la filosofia politica di Del Noce è la filosofia di De Gasperi”.
Così Rocco Buttiglione ha sintetizzato la parabola filosofica e politica di Del Noce. Se l’opera degasperiana è stata una sorta di “supplenza politica” – ricorrendo a un’espressione di Pietro Scoppola – negli anni della ricostruzione italiana, a Del Noce invece è spettato il difficile compito di portare avanti, in termini naturalmente di riflessione politico-filosofica, il nucleo teorico centrale del degasperismo, a dire il vero con alterne fortune. Del Noce è stato tacciato da alcuni di essere un reazionario, in realtà egli ha perseguito l’idea di una legittimazione critica del moderno in grado di riconciliare la posizione cattolica con la libertà, fuori da nostalgie medievaliste e reazionarie. Ricostruendo l’eterogenesi dei fini del liberalismo con il cattolicesimo politico, Del Noce preannuncia già nel lontano 1978 il “suicidio” della rivoluzione comunista, quando non solo nell’ex Unione Sovietica ma anche in Italia il comunismo sembrava godere di ottima salute. La scelta delnociana di propendere a favore della democrazia e del liberalismo non fu dettata da ragioni utilitaristiche, ma dalla convinzione che solo attraverso l’incontro tra il vero liberalismo e la cultura cristiana del nostro paese sarebbe scaturita una speranza per la rinascita delle forze liberali.
All’indomani della nascita della Repubblica, Togliatti elaborò la cosiddetta strategia del “partito nuovo”, volta a trasformare il Pci in una grande organizzazione di massa, saldamente radicata nella società italiana. Su questa scelta poté fondarsi l’accettazione di fatto della prassi democratica, a sua volta premessa per il ruolo nazionale del Partito comunista italiano. Gramsci divenne il faro culturale del comunismo italiano, e allo stesso tempo colui che ne decretò inconsapevolmente la fine. L’operazione di Togliatti, tenuta a battesimo dal gramscismo, a partire degli anni ’50 ci ha consegnato un comunismo a-teologizzato, in cui veniva sostituito al concetto di lotta di classe quello di lotta per la modernità.
Il messianismo politico di Marx, ovvero la creazione di una società senza classi, si sarebbe concluso con l’instaurazione di un nuovo Eden, ma sul nostro pianeta. Tuttavia se portato alle estreme conseguenze, il marxismo – ovvero la filosofia del primato del divenire – si risolve in un processo di dissoluzione nichilista. In ultima istanza nella storia della sinistra italiana la linea politica fu impostata sulla contrapposizione tra termini come reazione-progresso, modernità-tradizione, che non fece altro che accelerare il processo di impoverimento del comunismo facendolo approdare allo status di “vaga sinistra democratica”. Fu il trionfo della teologia della secolarizzazione, che di fatto sancì la totale subordinazione del momento dialettico della dottrina marxista al materialismo storico.
Tale passaggio cruciale segnò la crisi irreversibile del marxismo che, una volta caduto il Muro di Berlino nel 1989, si risolse in una forma assoluta di nichilismo e di relativismo culturale. Del Noce questo lo aveva già compreso sin dagli anni ’60 attraverso il dialogo con il filosofo catto-comunista Franco Rodano. Quest’ultimo in quel periodo già prospettava un’alleanza tra cattolicesimo e marxismo per superare o almeno contrastare la società del benessere. Del Noce reagì con forza a questa provocazione intellettuale, formulando una straordinaria interpretazione dei caratteri della società opulenta: irreligione come secolarizzazione o desacralizzazione, libertinismo di massa, relativismo integrale.
Nell’interpretazione transpolitica della storia contemporanea di Del Noce, la fine del “Secolo Breve” rappresenta un passaggio determinante della storia occidentale del ‘900 come epoca della secolarizzazione, ma non ne segna di certo l’ultimo capitolo. Il peso di questa sfida politico-culturale doveva essere affrontata dai liberal-cattolici, e Del Noce ne era ben consapevole. Tuttavia la miopia della Dc si palesò nel voler addomesticare il marxismo opponendogli semplicisticamente la “cultura” della società del benessere. Ma il marxismo non si può piegare, tutt’al più si possono evidenziarne le contraddizioni interne al suo sistema, per dimostrare come la filosofia della prassi sia destinata al suo fallimento e come quest’ultima sia inconciliabile con il liberal-cattolicesimo. Per Del Noce risultava ineludibile l’antitesi tra la visione antropologica cristiana e la prospettiva marxista. Sulla scorta della lezione dell’intellettuale marxista Galvano Della Volpe, Del Noce giunge ad una critica analitica e profonda del revisionismo marxista, poiché quest’ultimo considerava la dottrina di Marx come una mera metodologia di analisi sociale, quando in realtà essa rappresentava una vera e propria rivoluzione antropologica. Infatti “l’uomo totale marxiano” non ha nulla a che fare con la tradizione personalistica cristiana, poiché in Marx l’uomo è compreso solo come ente sociale.
Tale analisi mostrava la contraddizione intrinseca del liberal-socialismo e della cultura “azionista” (erede del movimento “Giustizia e Libertà” e del Partito d’Azione di chiara ispirazione mazziniana durante gli anni della guerra civile in Italia), nel presupporre quindi un’etica fondata sul rispetto della persona – una sorta di giusnaturalismo nascosto – per la creazione di un “Minotauro” ideologico: il socialismo liberale post-fascista. A conclusione di tale ragionamento, Del Noce ribadiva l’inconciliabilità del cristianesimo sia con il revisionismo socialista che con il cattocomunismo.
Quella delnociana è una concezione personalistica della democrazia, che si afferma con la nascita della Democrazia Cristiana. Del Noce si riconosce in questo partito, perché ciò che differenzia – almeno negli anni del degasperismo – la Dc dalle altre forze politiche è la sua concezione dell’uomo definito non solo in rapporto con la storia e la società, ma soprattutto nel suo legame con Dio. Si tratta di una libertà della persona che si fonda su una relazione con Dio, insieme con la sua trascendenza alla storia, ed è per questo che Del Noce arriva a parlare di funzione liberale del cristianesimo stesso: “Penso che anche il partito liberale non possa affermare i suoi ideali se non ravvisando il suo nucleo cristiano”. (Del Noce, “Problemi della democrazia”).
Con la fine dell’esperienza politica degasperiana vi fu certamente uno spostamento culturale e filosofico della Dc verso il già citato “azionismo”, una sorta di compromesso per abbattere la minaccia social-comunista. Fu certamente una vittoria di Pirro, che salvò per più di due decenni la nostra “Repubblica dei partiti”, ma che provocò allo stesso un grande equivoco e fraintendimento culturale all’interno della Dc. Si perse di vista il nucleo fondante del partito dei liberal-cattolici, almeno per come era stato costruito da De Gasperi, e poi pensato da Del Noce.
In estrema sintesi, la cifra del “liberalismo cattolico” di Augusto Del Noce si trova nell’essenziale storicità della Rivelazione cristiana: il cristianesimo è un evento storico, non un’ideologia o un sistema di pensiero, né tanto meno un affare di coscienza. Tale storicità del cristianesimo deve avere una traduzione politica nel suo dispiegarsi nel mondo, nella società umana, e tale deve essere il memento dei cattolici nel fare politica.
Gian Marco Sperelli