Se pronosticare l’elezione di Trump era esercizio alquanto arduo, altrettanto lo è il cercare di prevederne le mosse. In particolare, lo è in tema di politica estera, ambito che parla un linguaggio proprio, fatto di diplomazia, strategia e consuetudini che mal si addicono al ciclone Trump. La premessa, duplice, nasce proprio qui: l’azione di Trump sarà – per quanto possibile – coerente con le proposte fatte in campagna elettorale? E – nel caso – riuscirà a superare i non pochi ostacoli che l’apparato gli metterà sul cammino?
Pur mantenendo sullo sfondo queste considerazioni, è tuttavia doveroso ipotizzare il percorso di The Donald. Proviamo a concentrarci sul Medio Oriente, il teatro più instabile e delicato, e allo stesso tempo uno di quelli in cui le “proposte” di Trump potrebbero avere gli esiti più rivoluzionari.
ISIS – Innanzitutto, partiamo dal sito della campagna elettorale del neo Presidente, che parla di “Politica estera e sconfitta dell’Isis”, tanto per chiarire quale sia la sua priorità. Proprio dalla lotta a Isis passa il primo nodo strategico mediorientale (e non solo), ossia il rapporto tra USA e Russia. Trump – è noto – vuole drasticamente cambiare rotta, riavvicinandosi a Putin proprio in virtù di una più efficace lotta allo Stato Islamico. Il punto, tuttavia, è che se anche i due “capofila” si riavvicinassero, è impossibile che lo facciano i loro alleati: pensare a un riavvicinamento di Iran, Arabia Saudita o Israele è utopia, e dunque Trump deve essere in grado di guadagnare contemporaneamente credito su più tavoli tra loro poco compatibili. L’altro grande tema è il rapporto con l’Unione Europea (e, più in generale, la Nato), che sarà messo a dura prova dai vari conflitti regionali per lo stesso discorso di cui precedentemente. La guerra all’Isis, comunque, sarà portata avanti sia sul piano militare (che sarà implementato) che su quello ideologico (“Sconfiggeremo l’ideologia del terrorismo del radicalismo islamico così come abbiamo vinto la Guerra Fredda”), in cooperazione con gli amici e alleati arabi.
Siria – Lo scenario principale in cui Trump dovrà mettere mano è quello siriano, crocevia di interessi e alleanze che – a cascata – ricadono sulla stabilità di tutta l’area. L’idea di Trump, come detto, è di collaborare con la Russia contro Isis; questo, però, potrebbe voler significare un contrasto più morbido al regime di Assad (su cui Putin ha fortemente investito), e dunque una rivalutazione del sostegno alle moltissime fazioni di ribelli attualmente supportate (molte delle quali, peraltro, fondamentaliste islamiche). Tuttavia, un’azione di questo genere non lascerebbe indifferente l’Arabia Saudita, grande alleato regionale statunitense, che essendo schierata coi ribelli vedrebbe la scelta come un rinnegamento dell’amicizia stessa. Non dimentichiamo infatti che Assad è sostenuto, oltre che dalla Russia, anche dall’Iran, nemico giurato dei sauditi e principale rivale nel ruolo di potenza regionale.
Monarchie del Golfo – Più in generale, ne risentirebbe il rapporto tra gli Stati Uniti e tutto il Consiglio di Cooperazione del Golfo. Come se non bastasse, gli annunci fatti in merito alla ridefinizione degli accordi di cooperazione militare non hanno favorito un clima positivo: la minaccia di Trump di revocare la protezione statunitense in mancanza di adeguati pagamenti ha allertato le monarchie del Golfo. La conseguenza potrebbe essere un’azione cautelativa dei membri del CCG: “morto un Papa se ne fa un altro”, e la Cina già pregusta la possibilità di sostituirsi agli americani (in effetti, Arabia Saudita e Cina hanno recentemente effettuato esercitazioni militari congiunte).
Iran – Sono note le affermazioni di Trump sul trattato iraniano, visto come il fumo negli occhi. Tuttavia è difficile pensare ad azioni tanto rudi e decise quanto le parole spese: innanzitutto perchè, effettivamente, rescindere unilateralmente un trattato firmato poco tempo prima e implementato correttamente dalla controparte non è così facile; inoltre, perchè strategicamente avrebbe serie conseguenze, che spazierebbero dalle reazioni positive dei sauditi (che beneficerebbero del colpo basso ai rivali iraniani) a – soprattutto – quelle negative dell’Europa, che ha tanto investito nell’accordo, perchè tanto ne beneficia a livello economico; dopo le tensioni sulla riorganizzazione della Nato, sarebbe un altro brutto affronto all’altra metà del mondo atlantico.
Israele – Ma una delle prime, clamorose mosse della Presidenza Trump in politica estera potrebbe essere la conferma del trasferimento dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, che romperebbe lo status quo in senso esclusivamente pro-Israele; un atto tanto forte da essere condannato praticamente da tutti, dalla Giordania all’UE, ossia attori non esattamente ostili agli USA. Tale affronto farebbe impennare l’esplosività del conflitto israelo-palestinese, e le conseguenze sarebbero nefaste.
Altri scenari – C’è poi la Turchia, che potrebbe sia fare da ponte tra Russia e Stati Uniti, sia allo stesso tempo essere estromessa da un loro contatto diretto perdendo il ruolo di intermediario che si è ritagliata negli ultimi mesi; c’è Il Cairo, con al-Sisi che si è congratulato con Trump, auspicando che la sua elezione possa portare nuova linfa nelle relazioni tra USA ed Egitto; ci sono altre situazioni spinose, come la guerra in Yemen, la situazione in Iraq o la crisi libica, che richiedono di essere risolte senza però essere trattate a compartimenti stagni.
Insomma, sembra abbastanza certo che se i toni usati e le azioni promesse in campagna elettorale dovessero trovate seguito, si avrebbero importanti conseguenze, con un possibile shifting delle tradizionali alleanze. L’aspetto interessante, comunque, sembra essere uno in particolare: Trump è l’unico attore che sembra davvero essere in grado di non bloccarsi in una visione bipolare del mondo, un clima da simil Guerra Fredda in cui effettivamente la Presidenza Obama ci ha riportato.
Giovanni Gazzoli