“Vittoria di Pirro” – Perdere un battaglia politica, pur con il 98% dei consensi, è possibile? E se è possibile, si può davvero considerare come una sconfitta? Il caso ungherese è in tal senso emblematico: infatti i cittadini magiari sono stati chiamati alle urne domenica 2 Ottobre per la consultazione popolare sulle tanto contestate e mal digerite quote per la ripartizione dei rifugiati in Europa, e la stragrande maggioranza dei votanti ha espresso – in maniera piuttosto scontata – il proprio rifiuto per il sistema di ricollocamento dei migranti. Ma il totale dei votanti (43%) non ha raggiunto il fatidico quorum del 50%+1, rendendo non valido de iure il referendum e depotenziandone de facto la rilevanza politica. Il grande promotore del referendum Viktor Orban, leader del partito nazional-conservatore “Fidesz”, sin da domenica ha sottolineato che la consultazione avrebbe avuto effetti politici, anche senza il raggiungimento del quorum. Per Orban si tratta di un vero e proprio braccio di ferro con l’Unione Europea, e il premier magiaro non è disposto ad arretrare di un solo centimetro nei confronti delle politiche dettate da Bruxelles. I filo-europeisti tirano un bel sospiro di sollievo, ma il risultato elettorale di domenica sembra un argine di contenimento più che una risposta concreta alle continue pressioni e provocazioni politiche da parte di Orban, che è disposto ad una nuova e immediata revisione della costituzione (dopo quella portata a termine nel 2011), pur di ribaltare l’esito non soddisfacente del referendum del 2 Ottobre. Per Orban è stata quindi una disfatta in termini assoluti? Per l’Unione Europea non sembra invece l’ennesima ‘’vittoria di Pirro’’?
Orban e il “Visegrad”– Il gruppo del “Visegrad” è un’alleanza politica siglata nei primi anni ’90 tra Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, presso la località ungherese di Visegrad dove già nel 1335 si era tenuto un incontro storico tra i sovrani Carlo I d’Ungheria, Casimiro III di Polonia e Giovanni I di Boemia. Accanto alle evidenti suggestioni storiche, lo scopo dell’incontro era favorire e promuovere il processo d’integrazione europea degli stati post-comunisti citati in precedenza. I membri del “Visegrad” entrarono ufficialmente nell’Unione Europea nel Maggio del 2004. Il tanto agognato ingresso nell’U.E. fu considerato da questi ultimi non soltanto come una forma di risarcimento per essere stati condannati all’interminabile giogo comunista, ma una sorta di “passepartout” per essere traghettati nel sogno europeo e a quel processo storico-politico che Francis Fukuyama chiamò come “Fine della Storia”, ovvero il trionfo assoluto del modello liberal-democratico, il simbolo della civiltà occidentale nel secondo ‘900. Dalla pubblicazione del saggio di Fukuyama sono trascorsi più di 20 anni, e la tesi del noto politologo americano è stata più volte smentita.
Nel caso specifico, non stupisce affatto che il vero trascinatore del gruppo “Visegrad”, Viktor Orban, abbia messo addirittura in discussione la forma democratico-liberale dei paesi europei, etichettandola come residuo dell’ideologia occidentale. Il marcato nazionalismo di Orban, coadiuvato dall’esperto leader polacco Jaroslaw Kaczynski, non deve gettare fumo negli occhi sulla visione politica e strategica del premier ungherese. Orban sta certamente sfruttando le gravissime indecisioni di Bruxelles sul tema dei rifugiati: numeri alla mano si parla di appena 1300 rifugiati da ricollocare sul territorio ungherese. Il suo voltafaccia da liberal-progressista a “difensore” del conservatorismo europeo lo ha portato a sottolineare l’importanza della centralità della tradizione cristiana nella cultura europea. Questa mossa è dettata tuttavia dal grande pragmatismo politico che lo contraddistingue. Oltre a queste cifre peculiari, Orban si è reso tuttavia portavoce di un nuovo ed alternativo progetto all’interno del processo d’integrazione europea. Il piano dei paesi del “Visegrad”, esposto da Orban in un documento di tre pagine durante il summit europeo di Bratislava del Settembre scorso, esprime con forza la volontà di rafforzare la legittimità democratica dell’Unione Europea: “Le attuali sfide dimostrano che la stessa Unione può essere forte solo se i Paesi e i loro cittadini hanno un ruolo influente nel processo decisionale”. In sostanza il “Visegrad” chiede un rafforzamento del ruolo dei singoli parlamenti nazionali. La replica del Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz non si è fatta attendere: quest’ultimo ha definito tale proposta come una ri-nazionalizzazione delle politiche europee. Lo scontro è appena cominciato.
Gian Marco Sperelli