Il presidente Russo, Vladimir Putin, una volta ha descritto il crollo dell’Unione Sovietica come una “catastrofe geopolitica”. Tuttavia, il filosofo politico che oggi ha la maggiore influenza sulla Russia di Putin non è Lenin, bensì Ivan Ilyin, profeta del fascismo russo. Il brillante filosofo politico è morto da più di 60 anni, ma le sue idee hanno trovato nuova vita nella Russia post-sovietica, di cui Putin non è l’unico discepolo.
Ilyin credeva che l’individualità fosse male. Per estensione lo erano anche le classi medie, i partiti politici e la società civile, perché hanno incoraggiato lo sviluppo della singola personalità al di là dell’identità della comunità nazionale.
Secondo Ilyin, dunque, lo scopo della politica è quello di superare l’individualità, e stabilire una “totalità vivente” della nazione. Ilyin guardava Mussolini e Hitler come leader esemplari in grado di salvare l’Europa sciogliendo la democrazia: «Dobbiamo rifiutare la fede cieca nel numero di voti e il suo significato politico».
Se la democrazia è solo un invito all’influenza straniera, di conseguenza l’hacking di e-mail di un partito politico estero è la cosa più naturale del mondo. Se la società civile non è altro che l’apertura decadente di una società in decomposizione all’influenza straniera, una stampa eccessivamente influente ne è la derivazione più appropriata.
Dal punto di vista di Mosca, è più facile abbattere la democrazia in tutto il mondo di quanto non lo sia tenere elezioni libere e eque a casa propria. La Russia continuerà a sembrare più forte se gli altri Stati ne seguono il cinismo verso la democrazia, il che permetterà all’autoritarismo di prosperare.
Sintesi di Giada Martemucci