Il tragico destino di Jo Cox si è consumato il 16 Giugno 2016 ad una settimana esatta dal referendum, che segnerà il futuro della Gran Bretagna nell’Unione Europea. La deputata laburista, fervente sostenitrice del No al referendum, è stata prima accoltellata e poi freddata con un colpo d’arma da fuoco da un ultranazionalista del movimento pro-Brexit “Britain first”. Inutile dire che il movimento abbia cercato di correre subito ai ripari: ”I media stanno cercando disperatamente di coinvolgerci in questo fatto. Britain first chiaramente non è coinvolto e mai incoraggerebbe un comportamento di questo tipo”. Il dibattito politico sulle conseguenze di un’ipotetica uscita del Regno Unito dall’Unione Europea si è infiammato ulteriormente, con l’innescarsi -soprattutto sul web- da parte del fronte pro-Brexit, di teorie complottiste e cospirazioniste, dopo la morte della Cox.
Si tratta di un duro colpo per i promotori della Brexit, a partire dall’ex sindaco conservatore di Londra, nonché principale avversario del premier Cameron, Boris Johnson, per arrivare a Nigel Farage, leader controverso del partito Ukip e vero trascinatore del comitato pro-Brexit. La morte della Cox elimina uno dei volti nuovi del Labour Party dall’agone politico. Ex dirigente dell’associazione umanitaria Oxfam, la Cox si è battuta per un modello di integrazione sostenibile e fruttuoso degli immigrati in Gran Bretagna dopo lo scoppio della guerra civile siriana e delle “Primavere arabe” in nord Africa. Pochi mesi fa l’elezione di Sadiq Khan, esponente del partito laburista, a sindaco di Londra ha assunto un valore simbolico importante: per la prima volta un candidato di religione islamica viene eletto come primo cittadino della capitale inglese. Come Jo Cox , Sadiq Khan ha fatto dell’ integrazione e della lotta per i diritti umani il vessillo della propria battaglia politica. Questi due eventi mostrano chiaramente le due anime culturali e identitarie del Regno Unito, e se da un lato abbiamo il multiculturalismo britannico eredità -gradita o meno- dell’impero di Sua Maestà, dall’altro continua a reclamare spazio l’indipendentismo o particolarismo britannico all’interno del vacillante “concerto europeo”.
A prescindere il risultato del referendum, due riflessioni risultano lampanti: la Gran Bretagna con il suo atteggiamento sta di fatto alimentando le spinte centrifughe e secessioniste dei popoli europei, e non è un caso che proprio la leader del Front National Marine Le Pen guardi con tanta attesa e trepidazione all’esito di Brexit; il secondo punto su cui interrogarsi è la profonda contraddizione che sostiene tutto il movimento pro-Brexit: infatti lo Ukip ha ottenuto grandi consensi grazie alla sua capacità di alimentare paure collettive legate all’immigrazione e alla crisi economica dell’eurozona, ma è qui che viene a crollare il castello di carte costruito dagli euroscettici. La Gran Bretagna si è autoesclusa sia dalla moneta unica sia dalla zona Schengen, quindi è stata interessata in minor misura dalla crisi del sistema comunitario. C’è da ricordare inoltre che lo stesso David Cameron a Febbraio ha strappato un accordo importante con L’Ue, per favorire la permanenza del Regno Unito in Europa: si è visto infatti riconfermato il diritto di sottrarsi ad una ever closer union. Molti in questi giorni stanno riscoprendo le ormai celebri parole di Winston Churchill, datate 1946,: “Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa”. Si dimentica ,tuttavia, che quelle parole furono dettate più per pragmatismo politico che per uno spiccato europeismo. Settant’ anni dopo il particolarismo britannico riemerge più forte di prima, e forse, l’uscita di Londra dall’Ue, ci consegnerà un’ Europa sicuramente più sola. Tuttavia, la stessa Gran Bretagna non smetterebbe di essere influenzata dalla legislazione europea che tanto rifiuta. Gli stessi rapporti con gli Stati Uniti ne risentirebbero. C’è da vedere come andranno a finire le presidenziali in America tra Trump e Clinton, ma lo scossone si sta già avvertendo.
Gianmarco Sperelli